domenica 24 novembre 2013

Pleased to meet you.

Perfezione” non è il mio secondo nome.
    E poi, ai Figli Minori non interessa la perfezione. Hanno piccoli problemi, e vogliono piccole soluzioni. Mettiamo che un disgraziato preghi per avere più grana, cosa gli risponde LUI?
“C’E’ PIU’ FELICITA’ NEL DARE CHE NELL’AVERE!”
Figuriamoci!
    Oppure c’è quello che è stufo, dopo 30 anni, di avere una specie di mummia rinsecchita nel letto. Qual è il SUO parere?
“NON DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI!”
Eh, già.
    Io, invece, suggerirei di accettare quella bustarella che è capitata proprio al momento giusto, e farei notare che se la giovane, appetitosa segretaria  ha qualcosa in contrario ad una palpatina occasionale, tanto vale licenziarla e trovarne una più malleabile.

    Sono un tipo accomodante, io, sempre diplomatico. Non come quel fondamentalista di SUO figlio. Poveretto, mi faceva pena in quel cesso di deserto, roso dalla fame, volevo aiutarlo. Ma lui, niente, mi ha mandato a quel paese senza tante storie. Poi l’ha pagata cara, però. Ah, il miglior venerdì della mia lunga vita.  Peccato che la domenica dopo era già  in circolazione. Sapete come si dice, no? L’erba cattiva non muore mai.

    Da me, erba cattiva non ne troverete di certo, ci mancherebbe! Come ho detto, con me si arriva sempre ad un accordo, è facile scendere a patti. E non preoccupatevi di scritte col sangue o cose del genere. Tutte superstizioni da vecchie comari. Accetto tutte le principali carte di credito, e anche bonifici. Su conti all’estero, certo.
    Dunque, se mi fate una firmetta qui, e poi qui, vado un po’ di fretta, sapete com’è, gli Ultimi Tempi e tutto il resto. No, non preoccupatevi, mi faccio vivo io. Se volete mie notizie, ho un sacco di seguaci... scusate, volevo dire followers. Su Twitter, naturalmente. E la mail? È facile: @armageddon.

Allora statemi bene, e non preoccupatevi.
Tornerò molto presto!

mercoledì 13 novembre 2013

The End of It.

This time he would jump, and that would be the end of it.

   No more useless empty days at school, no more teasing, no more fights. No more dreams that never came true, no more disappointments.
   This time he would jump, so Mother would have something to worry about, for once. Of all the kids at school, he was the one with Miss Sunshine for a mother. Elegant Mother, cheerful Mother, who always looked on the bright side. Even when he wanted to scream his lungs out, or kick ass, or kiss the world good-bye. Nothing could wipe that smile from her face.

But this time he would jump, and that would be the end of it.

   He had spent days opening a passage through the bushes so he could climb the old brick wall and reach the rails. The train from Geneva would come at full speed, and that would be the end of it.

This time

   The blackbird  was lying on the gravel, trying desperately to hop away, but unable to move.

he would jump

   One wing was fluttering, the other was unnaturally bent.

and that would be

   The small shiny eyes were intensely alive, the orange beak open. Stupid bird! Just a big baby, look at you. And where are your parents now, why did they let you stray away from your nest ?

This time

  The train from Geneva will come at full speed, crushing delicate bones and black feathers, leaving nothing on the rails.

Move away!

   Climbing down the old brick wall, the terrible noise of angry metal already in his ears. The bird opened its beak some more, and nestled trembling in his cupped hands.

   Mother wouldn’t get mad if he brought the bird home, she was the one who always looked on the bright side. And fixing a broken wing shouldn’t be that difficult, sure even an idiot like Dr. Goodman would be able to do something about it.

   He flattened against the old brick wall as the train from Geneva came at full speed, leaving nothing on the rails.

   It was not going to be easy, climbing back with a quivering, helpless bird in his hands.

   He shrugged and looked up at the evening sky. Some day, maybe next month, maybe next year, he would see that bird fly.

giovedì 7 novembre 2013

Non maltratterai la vedova o l’orfano. (Esodo 22,21)

È dura, la vita del lupo solitario, e un orfano è il massimo del lupo solitario. Credetemi, essere orfani è terribile, una tragedia.

Prendete l’altro giorno, per esempio: stavo vicino ai cessi a dividere una sigaretta con uno di 4°, ed è piombata lì la Fabrizi come una furia.
-”Non lo sapete che è proibito fumare ANCHE nei corridoi? Ma che razza di educazione vi hanno dato i vostri genit…?”
Si è bloccata, ed è diventata rossa fino alle pieghe del collo. Alla fine nessuno ha più parlato di quella sigaretta.

Comunque, la cosa più devastante di essere un orfano è che non hai più una Mamma che ti ascolti, con cui confidarti e a cui rivelare tutti gli intimi turbamenti del tuo essere, eccetera eccetera. Lo psicologo ha detto di puntare sulle amicizie, e io ho trovato molto conforto nella biondona tuttatette del secondo banco. I maschi le stanno addosso peggio che i gabbiani nel film di quell’Inglese ciccione, ma quando arrivo io col mio sguardo perso e triste mi offre sempre una spalla su cui piangere.
-”Mia mamma adesso è un angelo in cielo, ma TU sei il mio angelo qui sulla Terra.”
Quando me ne sono uscito con questa frase, non si è neanche accorta che la mia testa era scivolata dalla sua spalla alle sue tette.

Il mio tormento interiore continua anche in famiglia. Tipo, il compagno della zia dove abito adesso mi ha chiesto perchè non avevo lavato la macchina come promesso. Ok, avevo smanettato tutto il pomeriggio sulla play, ma avevo le lacrime agli occhi quando gli ho detto:
-”Era una cosa che facevo sempre con papà!”
Alla fine, la macchina l’ha lavata lui sabato mattina.

In ogni modo, non era proprio una balla, quella della macchina. Solo che non la lavavo con mio padre, ma per mio padre. E falciavo il prato. E tosavo la siepe. Caricavo la lavastoviglie. Poi svuotavo la lavastoviglie. Poi ritiravo le posate: cucchiai, forchette e coltelli. Era il mio modo di condividere, diceva lui. “Devi condividere questi momenti significativi della vita di famiglia, invece di stare sempre rintanato davanti al computer”.

E nemmeno quella di mia mamma, era una balla. Lei mi ascoltava, mi ascoltava di sicuro. Diciamo che mi spiava. Ha perfino postato una foto di quando aveva 15 anni, per chiedere la mia amicizia. E se per miracolo mi invitavano ad una festa, si presentava sul più bello a portarmi le vitamine che avevo scordato di prendere a cena. Inutile dire che la biondona del secondo banco non mi si filava manco di striscio, allora.

Alla fine, essere il figlio sfigato di due rompiballe galattici ha dato i suoi frutti. Tutte quelle sere senza un cane con cui uscire, le ho passate a vedermi la serie completa dei film dell’Inglese ciccione, un po’ di Dexter e a leggermi tutta la roba di quel Stephen King.

E quando ho deciso che ne sapevo abbastanza, beh, allora ho preso qualche provvedimento.

Come ho detto, la vita del lupo solitario è dura, molto dura.
Uno deve arrangiarsi come può.

lunedì 4 novembre 2013

Borrowed Time

Le rose sono in ritardo a fiorire, quest’anno.
O forse è il mese sbagliato, non mi ricordo tanto bene. La mia memoria non è più quella di una volta. È dall’incidente.
Una scena terribile, per fortuna Fabio non l’ha vista. Era al lavoro, lui. Io avevo il giorno libero, e avevo deciso che mi  serviva un bollitore nuovo e che al centro commerciale c’era proprio il modello che mi piaceva. È assurdo, un incidente per un bollitore.

Comunque non è stata colpa mia. Il camion sul cavalcavia ha sbandato e si è inclinato, e ha rovesciato il carico. E io dovevo passare lì sotto proprio in quel momento. Un disastro. C’erano tutti: gli agenti della polizia municipale con i berretti bianchi fradici di pioggia, e i ragazzi del soccorso con le visiere dei cappellini da baseball abbassate, e i mezzi dei pompieri con i lampeggianti ancora accesi che mandavano fasci di luce colorata sull’asfalto. Il tettuccio della mia auto era tutto accartocciato. E pensare che mi ero sentita in colpa per aver lasciato Simone all’asilo.
C’era pioggia arancione dappertutto, e faceva tanto freddo.

Adesso non c’è la pioggia, ma il sole non scalda. Io ho sempre freddo. Anche Fabio, che era praticamente una stufa umana, dice “C’è una corrente d’aria in questa stanza”, e controlla le finestre e alza il termostato. Mi fa tanta tenerezza. Probabilmente è diventato vecchio. Di sicuro ha un sacco di capelli bianchi, anche se per me è sempre bellissimo. Gli voglio così bene, e anche lui mi ama, e lo dice spesso. Solo che gli vengono gli occhi lucidi. È buffo, dire una cosa così dolce con un’aria così triste. Ma lui è sempre stato un ragazzo sensibile. Sensibile e gentile, non si arrabbiava mai.

Non come adesso. Simone ha trovato uno dei miei vecchi bastoncini da escursione, e lo brandisce  come una spada. Gira per il soggiorno abbattendo mostri immaginari, e fa un verso con la voce. Fabio si arrabbia, e gli dice di non toccare le cose nell’armadio in corridoio, che le deve lasciare stare. Simone butta il bastoncino in terra, e va nella sua stanza sbattendo la porta.

Mi piaceva vederlo giocare, mi ricordava la montagna. Dall’incidente non ci sono più stata. Non che mi manchi, me la ricordo male e poi chissà che freddo ci fa, con questo sole che non scalda, e che non fa fiorire le rose. Le rose che Fabio pota e cura e non mi fa mai mancare, vicino al sasso con scritto il mio nome.

Oh, Stevie!


MESE 7, GIORNO 5. ORE 17.33
C’era un piatto sbreccato con una salsiccia abbrustolita, e una forchetta che colpiva a vuoto tutto intorno. E c’era un bicchiere rovesciato, e mani che volevano afferrare, e dita che si paralizzavano ancora prima di stringere il bordo.

E c’era una figura, vicino al tavolo, che era stata un uomo. Aveva labbra che si muovevano incessantemente, e le guance bagnate di lacrime.


MESE 7, GIORNO 5. ORE 7.45

- “Il cittadino Frankness Schwartzbacher ti invita rispettosamente alla sua festa di compleanno, domani.”

Joy smise di rimestare il porridge, e rimase col cucchiaino a mezz’aria.
- “Frankness?”
- “Vi siete conosciuti alla riunione del Coordinatore, il mese scorso.”
- “Non riesco a ricordarmelo.” Spostò lo sguardo a destra. Ecco il Cittadino Schwartzbacher, sorridente sulla spiaggia della sua ultima vacanza, la figura circondata dall’alone blu che la distingueva dai Cittadini Tangibili che affollavano la sala della colazione.
Joy bevve un altro sorso di orzo.
- “Non è quello che continuava a parlarmi della vita del Precursore?”
- “Altamente probabile. Ha scaricato il T-Book il mese 2 e il mese 5, quest’anno.”
- “Non sembra male, glielo dico dopo.”
Il porridge non sapeva di niente, stamattina. Allungò la mano verso la zuccheriera. Un 17° di secondo di paralisi alle dita, prima che potessero toccare il coperchio.
- “Il livello di glicemia è 100 mg/dl al momento.”
Joy ritrasse la mano.
- “Uh uh. Com’è il giro, oggi?”


MESE 7, GIORNO 5. ORE 4.10
- “Ce l’hai quello che ti ho chiesto?”
- “È è è. Qui sotto. La giacca giacca.”
- “Mettila sul tavolo, mi stai sui coglioni, così agitato.”
- “Prima il. Il. Il. Drink che mi. Hai promesso promesso.”
Da non credere, il ragazzo era un disastro. Era tutta quella roba che aveva preso per stare momentaneamente scollegato.
- “Adesso te lo do, appena riesco ad alzarmi. Cazzo, non c’è una parte che non mi fa male.”
Frugò a fatica dietro alla pila di vestiti. Eccole, le 3 bottigliette. Gli ci era voluta una vita per distillarle dalla frutta della Razione Salute, ed era un peccato cederne una. Comunque gliene restavano abbastanza per una piccola festicciola personale, appena gli altri abitanti della Casa fossero usciti.

Il ragazzo buttò il pacchetto sul tavolo, e uscì come un fulmine stringendo la bottiglietta. L’uomo scosse la testa. Che coglione!
Con un po’ di fortuna non avrebbe più dovuto vederlo, lui e quelli come lui. I suoi valori erano tutti fuori parametro, volevano fargli una qualche operazione quadrupla. Che cazzo.
Lui, invece, sperava di farsi scoppiare il cuore prima di stasera. Bum! Tanto, che cazzo ci stava a fare. Almeno sarebbe morto contento. E forse avrebbe rivisto Francis. Era troppo vecchio, e loro erano troppo stupidi. E non lo rispettavano. Li sentiva, gli insulti lasciati a metà, e sapeva quello che pensavano: Labbraferme, Craniovuoto. Staccato, Scollegato, Testazitta.
Zitta.


MESE 7, GIORNO 5. ORE 7.52
- “C’è una sessione di manutenzione ordinaria alle prime 3 classi della scuola 17, e prima di pranzo una visita ad un Cittadino che vive da solo.”
- “Un craniov…” Un 30° di secondo di paralisi alla lingua, prima che potesse terminare l’insulto. “…o! Com’è che ne è rimasto ancora qualcuno?”
-“L’implementazione dei Servizi Thobias è stata lasciata a cura dei genitori dall’anno ’25 al ’28. Col Dispositivo del Ministero della Salute del  mese 1 del ’29, lo Stato ha deciso di  farsene carico. Il cittadino è nato nel mese 12 del ’28.”
- “Che storia! E che faccia ha?” Alla sua destra, l’alone blu racchiudeva un’immagine tremolante e di bassa qualità. “Non si può fare di meglio? Che cos’è questa roba?”
- “Come ho detto, il cittadino è nato nel ‘28. Sono 98 anni che vive da solo.”
Joy prese la valigetta, reprimendo un  tremito di disgusto. Oh, Stevie!  Da solo. Per 98 anni. Sempre da solo.


MESE 7, GIORNO 5. ORE 11.58
La griglia sul braciere illegale l’aveva costruita Francis, con un pezzo di ricambio non inventariato. Francis aveva sette anni più di lui, e ci teneva a fare il fratello maggiore. Era riuscito a nascondere la parentela, e a farsi assegnare un cubicolo insieme, dato che lavoravano nella stessa fabbrica. Cazzo, Francis aveva sotto due coglioni così, non aveva paura di niente. Ma ormai, se n’era andato da un pezzo, in silenzio, come tutti gli altri. Gli mancavano.
Una bella botta alle sue arterie malconce, e una bella ninna nanna alcolica lo avrebbero spedito a dormire con loro. Con un po’ di fortuna.


MESE 7, GIORNO 5. ORE 12.13
Il tragitto fino alla Casa del cittadino non era stato lungo, ma l’agglomerato di cubicoli non poteva essere più distante dalle abitazioni dei dipendenti del Ministero. Qui era un vero squallore.
- “Sono alloggi adeguati e dignitosi.”
- “Certo, certo. Sono loro che li dovrebbero solo tenere un po’ più in ordine.”
Altrochè. C’erano oggetti disparati accatastati dovunque, provenienti da chissà dove. Il Ministero della Produttività ne era al corrente?

- “Buongiorno, cittadino. Sono un tecnico del Ministero della Salute.”
Il sorriso di Joy non riusciva a coprire il suo senso di disgusto. C’era un odore acre di fumo e bruciato, e la figura tremante e malferma davanti a lei aveva già l’aspetto di un cadavere. Era in momenti come questi che Joy sentiva tutta la responsabilità del proprio lavoro.
- “Dunque, la Legge Organica del ‘30 prevede che in casi di grave pericolo di vita si proceda all’implementazione dei Servizi Thobias anche senza il consenso esplicito della Cittadinanza.”
Mentre parlava, Joy preparava con mano esperta gli strumenti del suo lavoro. L’uomo cercò di allontanarsi barcollando, urtò uno scaffale, si sostenne allo schienale di una sedia sghemba, con gli occhi sbarrati. Era dovere di Joy rassicurarlo.
- “Sì, per ora possiamo solo implementare un collegamento standard, ma appena avremo interpretato i dati di risposta forniremo i Servizi Thobias completi, e ti sentirai davvero meglio!”
La pelle dell’uomo era pallida e umida, coperta a tratti di chiazze livide, ma piano piano i suoi muscoli si rilasciarono, e si mise seduto, con le labbra che cominciavano lentamente a muoversi.
Ecco, quel poveretto non era più solo. Era un onore essere un tecnico di IV classe.

- “Ho deciso che ci vado, da quel Frankness.”
- “Ho già accettato a nome tuo. E ti ho anche addebitato sul conto una bottiglia di centrifugato di carota da portare alla festa.”
La voce, di solito asettica, sembrava quasi gonfia di soddisfazione.
- “I Sistemi Thobias sono qui per servire. E lo saranno per sempre.”